Cos'è il Diritto? La Dialettica Filosofica
In materia, c’è un perenne dibattito tra giusnaturalisti e positivisti.
Abbiamo già osservato il pedissequo riferimento alla coscienza, alla giustizia, all’eguaglianza, quali valori imprescindibili di una qualsiasi riflessione giuridica, nondimeno però si potrebbe sostenere – come si è sostenuto – che vi sia la necessità per il vivere civile di un completo assoggettamento dell’individuo alle leggi dello Stato. Il cittadino sarebbe legittimato a vagliare la liceità delle norme statali?
Secondo Hobbes, se le leggi dovessero essere giudicate a seconda non solo della morale ma anche della loro razionalità, chiunque tra i cittadini credesse di essere più razionale del legislatore sarebbe tenuto a non obbedire alle leggi (e vista la nota di superbia ed aggressività che contraddistingue gli uomini, si pensi a quale sarebbe il risultato). Molte dispute sono sorte sulla valutazione in termini razionali e morali delle leggi, e l’effetto era sempre la condanna o la tutela del diritto di ribellione. Il discorso circa l’obbedienza ritorna ogniqualvolta la legislazione diviene estranea al corpo elettorale, e difatti in questo periodo – specialmente riguardo la riscossione fiscale – i cittadini si chiedono, come allora, se non sia lecito ribellarsi alle leggi dello Stato.
Già Kant distingueva il diritto in naturale (Privatrecht) e positivo (Öffentlichesrecht), per la prima volta, sottolineando come solo il primo fosse ricollegabile allo stato di natura dell’uomo e il secondo fosse invece a lui estraneo, sorto per la sua protezione. Tale distinzione ritengo faccia sorgere la prima riflessione circa l’artificiosità del diritto – anche la nostra definizione di diritto oggettivo (come insieme di norme scritte) riflette questo concetto.
Il timore dell’uomo per l’incertezza lo ha portato quindi a scrivere leggi in maniera che fossero sempre più stringenti – e di certo al timore si aggiunse l’illusione che avrebbe così potuto tutelare il cittadino dalla discrezionalità del giudice e da quella del legislatore – giungendo poi alla forma della codificazione, che voleva essere una definitiva e stabile raccolta di norme che in periodo napoleonico era avvolta da un’aura sacrale, quasi fosse una reliquia di inviolabile ratio. La scuola dell’Esegesi (1830-1880) credeva infatti che il diritto coincidesse con la volontà dello Stato e che il giudice dovesse essere un mero burocrate bouche de la loi, ovvero che dovesse soltanto individuare l’articolo del Codice da applicare. Questa dottrina riteneva di poter rispettare solo così l’uguaglianza. Essa non prendeva in considerazione che il giudice, per il solo fatto di dover analizzare la situazione di fatto per individuare la legge, svolgesse una sua funzione interpretativa.
Queste idee furono alla base del positivismo, teoria che sosteneva la creazione di un diritto per gli uomini.
Il caposaldo era la divisione tra diritto e morale, dovendosi occupare i giuristi di ciò che il diritto è, e non di ciò che esso deve essere – come se quest’ultimo non fosse sottoposto come tutta la realtà alla legge illuministica della progressione. Il positivismo sosteneva anche la necessità di uno studio analitico e sistematico del diritto, che riflettesse le caratteristiche del Codice, contraddistinto anche da coerenza e completezza. L’unica morale contemplata era il dovere di rispettare la legge, anche quella ingiusta. Il motto della corrente era «Gesetz ist gesetz», simile al motto romano «Dura lex sed lex», e tuttavia la radicalizzazione del concetto ha portato, ai tempi di Norimberga, a non sapere quasi cosa obiettare a quanti affermavano di avere obbedito alle leggi razziste poiché erano ordini, di fatto, legittimi. A mio avviso tale corrente, per quanto ne salvi la propaganda alla obbedienza, non solo avrebbe come effetto quello di paralizzare il Diritto, ma anche quello di disumanizzarlo. Mi pare abbastanza ridicolo che proprio l’uomo, che ha stilato la legge, ne venga poi sottomesso in toto quasi essa fosse una entità solenne.
Di contro, la teoria del giusnaturalismo ha origini molto più antiche – come si è già potuto riscontrare con le definizioni più classiche di diritto – e ritiene, nelle sue ultime formulazioni, che l’avalutatività non sia il solo metodo di conoscenza. Non sarebbe infatti inutile nonché perigliosa una conoscenza svincolata dalla moralità e pertanto svincolata dalla realtà e da una sua qualsiasi applicazione? La dottrina giusnaturalista distingue anche, per le voci di piccoli autori, tra norma e norma applicabile, ritenendo non solo che non si possa obbedire al diritto ingiusto ma anche che vi sia una differenza tra norma astrattamente giusta, e norma concretamente produttiva di giustizia.
Contro coloro che credono nell’indeterminatezza e nella vanità di questa teoria c’è da ricordare che per i giusnaturalisti i valori su cui si deve fondare il diritto sono oggettivi, tra cui il valore di giustizia distributiva e commutativa teorizzati da Aristotele. I princìpi di riferimento sono autoevidenti secondo i seguaci di questa corrente ed io credo che con l’avvento del costituzionalismo, dopo le guerre mondiali, oggi si possa realmente affermare nell’oggettivo riconoscimento di valori per il solo fatto che essi si ripetono concordemente nelle costituzioni di tutti gli Stati. Eccetto me e non so quanti altri, le sempre maggiori influenze dei princìpi nelle questioni di diritto spaventano; perché?
All’interno di tale disputa è degna di nota anche la teoria di Friederich Von Savigny (con la quale concordo, prima però che la sua Scuola Storica la modificasse), che vede il diritto composto dall’incontro tra uno spirito oggettivo (quello della Storia) ed uno soggettivo (la volontà del popolo) e che lo fa derivare dalla attualizzazione della consuetudine, da sempre primitivo metodo di creazione del diritto. Questo parere non soltanto accenna ad una nota di oggettività, ma anche alla presenza di valori nel diritto che vi riflettano lo spirito del popolo (Volkgeist). Il diritto deve essere quindi “popolare”?
La scelta tra le due teorie è aspra, quasi come se si dovesse scegliere di salvare la vita alla propria madre, o alla propria sorella. Ovviamente le dottrine rispondono non solo alle esigenze del tempo, ma anche alle caratteristiche delle persone che le scelgono. Fareste questa scelta? In questa contesa a chi dareste la ragione? Al giorno d’oggi necessita più che gli si dia certezza o consonanza con la morale riconosciuta dai più?
Comments
le leggi andrebbero tarate sull'essere umano, per assicurare un'esistenza dignitosa e civile.
il fatto che esistano leggi ingiuste e che la loro possibile esistenza sia contemplata fin dall'antichità, fa capire come non sia pensabile che l'uomo arrivi, nel territorio dei diritti, a sfiorare nemmeno per caso una qualunque forma di equilibrio.
perciò, una qualunque forma di equità.
2- la differenza tra norma astrattamente giusta, e norma concretamente produttiva di giustizia è gigantesca, è dibattuta e se ne discute in modo anche vizioso da troppo tempo. penso - come nel commento dell'utente 'teresa', che si sia distanti mille anni-luce dall'equilibrio. l'uomo non ne ha, come può averne perciò il diritto da lui creato??
l'uomo sente come una necessità alienare, estraniare, emarginare, per rivendicare la sua influenza e il suo potere sui suoi simili... e più ampio è il quantitativo di simili, più l'uomo amplifica la tendenza ad alienare, estraniare, emarginare gli altri. è logica di potere, alla quale la situazione sociale rimette i propri peccati. stesso discorso vale per il diritto, ahinoi!!
poi oooh, io sono quello che sposa tutte le chimere, ma se dobbiamo guardare indietro nella storia ne deduciamo che ogni speranza va lasciata e c'è da rimboccarsi le maniche per tirare su un futuro diverso, finalmente.
La mia proposta Salvatore è che ci siano ancora quei princìpi negli uomini, anche se attualmente inquinati. Il diritto ha dato prova negli anni di rinnovarsi ed alternare consonanza con il popolo ad un periodo di incomprensione: aspetto con ansia il nuovo periodo di concordia ed il discorso di Letizia avvalora il mio pensiero.
Avete visto il caso Ilaria Alpi e quello di Stefano Cucchi? Dov'è il Diritto?
Avete visto la legge bluff sulla tortura? Lo Stato può torturare e non essere punito, per essere perseguiti per quel reato si deve dimostrare che la violenza è stata perpetrata in più condotte, cioè una cosa impossibile.
Capisco la disillusione, perché il pesce puzza dalla testa. La testa è quella che zittisce le indagini su Lotti e Renzi, che vuole scarcerare Riina, con un PD che tira la giacca al magistrato Spataro per dare fastidio agli avversari politici a Torino, che sul 416 ter C.P. sul voto elettorale di scambio politico-mafios o ha dato prova d'essere dalla parte dei banditi, che fa riavere il vitalizio a tre ex deputati condannati, che avalla i contratti fuorilegge nei centri commerciali e protegge chi li usa e ne abusa, che mente sulle risorse contro il dissesto idrogeologico e lascia i terremotati al loro destino. Mi fermo perché mi vengono i conati.
Dov'è, in tutto questo, il Diritto? Nell'incredibil e e sporco accordo sugli sbarchi, nel silenzio su CONSIP e le magagne tangentistiche dei partiti, nei decreti salvabanche con i risparmi dei cittadini, nel fiscal compact o dentro le pagine più scandalose dei voucher, di Equitalia, del depotenziamento del Codice Antimafia?
Dov'è il Diritto?
Per questo capisco Salvatore. Anch'io vorrei una società più giusta, più equa, più fondata su valori sociali fondamentali per tutti e non a vantaggio dei gruppi di potere. Ma per adesso è una pura chimera.
Per questo capisco anche Anastasia, che col suo candore e la sua voglia di crederci dimostra che una pur piccola fiammella di buonsenso c'è. Il problema è come farla diventare un incendio.
x salvatore: la fabbrica dei miti fasulli è geniale. che peccato che lo siamo diventati.
x anastasia: come si esce da questo incubo?
e' necessario rieducare un popolo e non ce l'ha fatta nessuno.
gli italiani non li ha cambiati neanche un dittatore.
se era per loro stavano ancora con il re, infatti nel '46 ci fu il famoso truccone delle elezioni.
l'italiano va con chi gli garantisce piu' diritti, non piu' diritto.
lo so che sembra un gioco di parole ma e' sensato, pensaci lavinia.
penso anch'io che l'autrice dovra' chiarire il suo pensiero, perche' c'e' tanto da fare ed lo si dovra' fare prima o poi.
Poi aggiungo che il pessimismo non deve diventare disillusione, o la lotta per la civiltà rischia di finire.
Difendiamo il "diritto ad avere diritto".
Non trovo che tu stia delirando, affatto. So anch'io che viviamo il tempo più frivolo e guasto della Storia, però se hai uno scopo e per quello sei disposto a combattere, la tua voce può arrivare dove neppure il suono può portarla.
Il cittadino DOVREBBE essere sempre legittimato a vagliare le leggi che lo Stato, perché la somma di tutti i cittadini (senza i cittadini nessuno Stato è possibile) deve avere una partecipazione attiva nella scrittura e nella gestione della Legge.