Di Porzia, Socrate e di Studi del Giurista
Come immaginate uno studente di giurisprudenza?
Nella maggior parte delle vostre menti vedo proiettarsi la figura di un Leopardi curvo sui suoi tomi da cento, mille e più pagine, con gli occhi rossi dal sonno e una lampada ad illuminare la sola scrivania. Studio matto e disperatissimo poiché necessita per lo più di memoria: bisogna conoscere parola per parola codici e leggi, e leggere sentenze incomprensibili, ripetere e ripetere le frasi del legislatore. Molti di voi penseranno ancora ad uno studio mnemonico ben poco ragionato, noioso e reso sempre più difficile per il moltiplicarsi delle fonti normative. E siete sempre più numerosi a vedere la legge come ineludibile. Vi sbagliate. Certamente non è mia intenzione indurvi ad eludere la legge, tuttavia voglio sfatare il mito che essa sia un mero e ferreo dettato normativo.
Se vi dicessi che vi sono studenti di diritto che si divertono come matti?
Ebbene: lo dico per esperienza personale. Ipotizziamo i clienti e le loro cause, immaginiamo tutta la vita di quel cliente che nella sentenza non è descritta, sposiamo la sua causa e in quelle poche parole della norma cerchiamo interpretazioni. L’interpretazione è il modo in cui la scarna e ferrea legge vive, il mezzo per il quale i commi respirano. Non pensiate che i buoni avvocati siano coloro che riescono ad aggirare la norma, no: sono coloro che riescono a rispettarla adattandola al vostro caso.
So che la maggior parte degli avvocati basano ora la loro strategia sullo screditare l’avvocato della controparte dal punto di vista procedurale: ma costoro sono semplici burocrati impicciati in troppe cause e mancano della vera creatività che è necessaria all’argomentare giuridico, al contraddittorio processuale. Osteggiata anche dagli stessi operatori del Diritto, l’interpretazione argina però efficacemente i problemi che conseguirebbero a una norma mal posta.
Il grande dibattito tra norma positiva e principio giusnaturalista viene meno interpretando la prima, sulla scorta del secondo. Per fare un esempio userò la figura di Porzia, protagonista dell’opera shakespeariana Il mercante di Venezia. Costei viene conquistata da Bassanio, il quale è stato aiutato nell’impresa dal suo amico Antonio mediante un prestito che costui aveva richiesto all’usuraio Shylock. L’usuraio aveva posto come condizione il poter tagliare una libbra della carne di Antonio nel caso in cui il debito non fosse stato sanato puntualmente. Antonio viene condotto dinanzi al tribunale ed è Porzia, travestita da legale a perorare la sua causa. Ella non punta sull’invalidità della clausola contrattuale, non elude la legge bensì la interpreta sulla scorta del fatto che essa parla solo di carne, senza far riferimento al sangue: l’usuraio ha diritto di tagliare la carne e non di versare il sangue. Ne consegue che, risultando concretamente inattuabile tagliare la carne senza versare il sangue, l’ebreo debba rinunciare alla sua pretesa. Ebbene, la Legge vive mediante l’interpretazione reciproca delle singole parole e delle disposizioni e può vivere solo quando viene trasportata nel caso concreto. Essa è ben impiegata quando diviene equità per i consociati.
Vero è che la legge è scritta, è generale, astratta, e spesso sembra immutabile, ma merita sempre rispetto, come mostra Socrate nel Critone. Tuttavia essa non è un muro, e ce ne accorgeremmo se pensassimo all’interpretazione non come al dispotismo degli esperti ma a speranza di comprensione della nostra situazione. Alcuni ignorano che nell’interpretazione stessa vi sono delle regole – esposte nell’art.12 delle Disposizioni sulla legge in generale – e che essa non è esclusiva del giudice. La prima tecnica interpretativa è certo quella letterale, ma poi segue una lettura psicologica dell’intenzione del legislatore o storica in base al contesto in cui egli operava. Vi è la possibilità di ricorrere all’analogia con altre leggi e alla sistematicità dell’ordinamento. In realtà ve ne sono altre oltre quelle descritte: tutte vengono sfruttate, e altre ne sono create dall’ingegno del giurista.
Logicamente si opporrà alla interpretazione il “principio della certezza del Diritto”, ma se la singola norma perde la sua certezza non se ne guadagna con tale metodo una maggiore? E parlo della certezza della Legge intesa come giustizia.
Nonostante la singola disposizione divenga malleabile, il giusto diritto del singolo e la pretesa vengono tutelati. Questo complesso e sottile gioco interpretativo è quanto determina la corretta portata della norma e che le permette di essere applicata. Contrariamente a quanto si immagina, la applicazione della legge non è un fenomeno lineare ma circolare: si parte dal caso concreto e si connette quel caso ad una norma, la quale a sua volta dovrà adattarsi alla giustizia concreta del caso. Maestri di quest’arte che permetta alla legge non di far ciò che vuole, ma di fare ciò che il cittadino necessita sia fatto sono i giudici dei nostri più alti gradi di giudizio: la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale. Loro compito è altresì reso complesso dal fatto di dover preservare la norma in riferimento a tutti gli altri casi ipotetici che si potranno presentare ai giudici e dal fatto di dover de facto indirizzare le decisioni dei giudici dei gradi inferiori. A costoro i giovani studenti guardano ammirati, sperando di comprendere l’arte della retorica e giocando a fare i creatori di diritto.
Se voi pensate a tutti gli studentelli di legge come schiacciati dal peso dei libri ingombranti vi assicuro che essi pensano a voi in tutte le vostre particolarità, in tutte le situazioni che potrebbero capitarvi nella vita. Ed è così che immaginiamo i vostri matrimoni e divorzi, la nascita dei vostri figli, i problemi con il datore di lavoro, il ritardo nel pagamento di una bolletta...
A preservare i vostri diritti c’è l’arte di quel ragazzo ricurvo ma felice, entusiasta di far vagare la mente per le vostre case e per i vostri affari, di risolvere problemi con la Ragione, con la sua ragione e non con la memoria.
Comments
Okay, la legge com'è in Italia di logica non ne ha, basta vedere i casi Consip, i casi Eternit, i casi Berlusconi, tutte le volte in cui il panettiere perde contro l'industriale anche quando ha sacrosanta ragione di prevalere, ma la legge in astratto è proprio la base del ragionamento.
Articolo significativo. Grazie.
Io sì, tutti i giorni. E ho fatto studi dove, mi dicevano, fondamentale è il ragionamento. Si tratta di un guasto delle università italiane. Ti insegnano ad assimilare concetti e i professori sono i primi a rivolerli come li desiderano, mai come dovrebbero essere esposti, ragionati. Non è un caso se a ragionare siamo i più arretrati d'Europa. Scusate, non volevo essere pessimista, solo un poco realista. Idealmente, i concetti espressi sono tutti perfetti e mi vedono d'accordo, nemmeno io ho mai studiato in quel modo, anzi mi fa orrore che si pensi a uno studente leopardizzato.
fosse per me pero' tornerei subitissimo all'epoca di socrate, quando il diritto era autentico. il nostro tempo patisce un diritto flagellato da potentati e consorterie... infatti ah, quanti piccoli-grandi shylock ci funestano
il dialogo tra le parti come lo intendi, poi, c'è già ed è svolto, spesso bene, dai mediatori. rimane il guaio che anche lì i tempi sono biblici, lunghissimi e i giudici, allungando i tempi, allontanano anche la certezza del diritto.
già, il muro.
il muro pensato 'non come al dispotismo degli esperti ma a speranza di comprensione della nostra situazione' sarebbe irreale se davvero gli esperti non si reputassero chissà chi. provate ad avere a che fare con uno dei tanti magistrati sparsi in italia, sotto il profilo professionale, poi mi direte! ci credo che vorrebbero andare a farsi giudicare in inghilterra!
avoja il muro.
il muro c'è, eccome.
lo sperimentiamo tutti i giorni nei diritti negati.
siamo dei chiacchieroni che fanno della chiacchiera il loro scopo e con le chiacchiere mangiano, mangiano.
la legge non è la giustizia, qui.
onore alla sig.na (o sig.ra) lamagna per come scrive, quello che scrive. però sono curioso anch'io delle risposte.
1) cosa fare perché gli studenti non vengano disillusi alla fine o durante il percorso di studi, se quando si voltano di qua e di là vedono una realtà degradata e priva di qualunque giustizia?
2) come liberarci dal peso di quella controcultura della furberia?
3) come fare a correggere la mentalità perfino in chi amministra la giustizia o difende chi ha a che fare con essa (vedasi l'esempio portato, sul modus operandi degli avvocati)?
4) come tradurre lo studio in applicazione pratica, in un paese dove lo studio non è mai applicazione pratica?
2) Come con i bambini l'esempio è l'arma più efficace.
3) Per quanto riguarda i burocrati, il loro macchinoso grigiume potrebbe superarsi con un maggior contatto con le persone. Loro dovrebbero comprendere che il ruolo non fa la persona e anche gli altri dovrebbero trattarli come pari, senza reverenzialismi.
4) Lo studio infatti non è applicazione pratica. Esso serve a comprendere schemi di ragionamento che serviranno a barcamenarsi tra i casi concreti. Non si può fare uno studio pensando di applicare perfettamente quello che si è imparato, ma apprenderne i princìpi cardine e applicare quelli. Non ci sono situazioni inquadrabili o inquadrate, bisogna affrontare quelle reali sapendo che i valori appresi saranno le armi per affrontarle.
mi scuso per il vizio di andare per punti ma anch'io ho un retaggio degli studi e i miei sono stati in ambito matematico. allora:
1) gli studenti sono incorruttibili, tutti, finché dura la carica di ribellismo e di purezza nell'approccio alle cose. il radicalismo in questi casi fa bene e dovrebbe anzi essere stimolato. invece a una certa età, chi prima della fine dell'adolescenz a chi un po' dopo, va perduto. questo perché è la società dei bisogni a imporsi. in pochi rimangono incorruttibili e quelli che lo restano sono persone preziose più dell'oro.
2) fare come i bambini in un mondo di gente che ne approfitta può essere utile se si è in tanti a farlo, ma io parlavo di applicazioni pratiche. gli ideali vanno bene ma sono poco pratici. anche a me, a tanti altri piacerebbe un mondo di fiducia, però l'uomo è portato a infurbirsi, almeno da noi. i popoli nordici non hanno questo problema, da noi invece è massacrante. come riuscire nell'impresa (titanica) allora, di far capire a tutti che quello nordico è il modello più armonico, senza ricorrere a punizioni o imposizioni?
3) sul ruolo dei burocrati penso che non siano tanto riveriti, specie quelli agli sportelli. sono loro che si prendono lo spazio di reverenza e fanno quello che gli pare, perché sanno che molto dipende dalla loro fannullaggine. se si muovono bene per tutti, se no il mondo può aspettare i loro ritmi. e chi amministra la giustizia dovrebbe capire che da lui dipendono a volte delle vite, eppure se ne sbatte lo stesso e continua nel suo rituale d'abitudine. come, quindi, spiegare a costoro che il ruolo non fa la persona in una terra dove si sente ancora ripetere "lei non sa chi sono io"? quella frase e tutti i costumi a essa legati sono la negazione base del rispetto reciproco e quindi del diritto.
4) i valori appresi saranno armi e ci sta; lo studio serve a comprendere gli schemi e ci sta anche questo; non ci sta però che il bagaglio serva solo a barcamenarsi. i principi cardine sono i rudimenti su cui poi bisogna applicare il resto. prendo la mia materia: se imparassi solo le regole senza tener conto di ciò che deriva dalle regole - così dette - secondarie, non riuscirei neppure a risolvere un'equazione, a realizzare un algoritmo, quegli algoritmi senza i quali non potremmo neppure dibattere qua, nello spazio commenti di una rivista. non è per fare il cavilloso ma il pratico: lo studio deve tradurre i principi imparati in ciò che è l'applicazione pratica, se no il diritto rimane scippato di una parte importante, che è appunto ciò di cui ha parlato nel suo articolo con tanta perizia: l'interpretazio ne.
ps: come faccio a essere segnalato anch'io al cels?!